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Gli aggiornamenti Android non dipendono dalle aziende, anche se spesso diamo la colpa a loro

Quante volte è capitato di dire “Ma perché il mio smartphone Android non si aggiorna per più tempo?”? Molto spesso sicuramente e questa è una delle piccole cose che tanti utenti non riescono a digerire. Molto spesso però diamo la colpa alle persone sbagliate. Così come il rilascio di un aggiornamento del sistema operativo non dipende dai singoli OEM (Xiaomi, realme, Oppo e via dicendo), anche gli aggiornamenti di sicurezza e il supporto totale dei dispositivi non grava sull’azienda produttrice. Sembra strano, ma un buon 80% dipende da Qualcomm.

Nessuna colpa alle aziende se Android blocca il supporto ai dispositivi dopo pochi anni: il problema arriva da Qualcomm che “blocca”

Siamo costretti ogni 3 o 4 anni a cambiare smartphone per via dello stop agli aggiornamenti Android. La politica degli update è spesso messa in chiaro dalle singole aziende ma forse in pochi sanno che il rilascio non dipende da loro. Il vero problema è Qualcomm, ovvero l’azienda che vende i processori con il suo nome (non prodotti da lei, in realtà) alle singole aziende come Xiaomi e compagnia bella. La questione è stata sollevata da Fairphone, ovvero l’unica azienda al mondo che è arrivata ad un supporto negli aggiornamenti Android per 5 anni. Infatti, il Fairphone 2 si è appena aggiornato ad Android 9.

Direte voi: “Ancora Android 9?”. Se consideriamo che il supporto UFFICIALE per questo device è stato bloccato alla sesta versione del sistema operativo, capiremo che Pie è quasi un miracolo. Ma proprio questo ci spinge a chiederci: come ha fatto ad arrivare a questo punto? Grazie al supporto non ufficiale e al lavoro dei modder (gli sviluppatori smanettoni) che sono riusciti, con molta fatica, ad arginare il problema.

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Ma questo è un altro discorso, andiamo al nocciolo della situazione. Perché il rilascio degli aggiornamenti dipende da Qualcomm e non dalle singole aziende? La facciamo più semplice possibile: un sistema operativo, basato su un processore, è formato da tanti “blocchi” e alcuni di questi non sono accessibili a nessuno in quanto sono closed source. Questo nonostante Android sia un sistema open source. A mettere questi blocchi non sono gli OEM, bensì Qualcomm.

Secondo quanto leggiamo, ci sarebbe un’opzione per risolvere il problema, ma entro certi limiti: le aziende singolarmente dovrebbero pagare di più Qualcomm per prolungare il supporto, o meglio per evitare che l’azienda statunitense metta il “lucchetto” ai blocchi di cui sopra. Tuttavia un limite a questa cosa c’è: non avrebbe senso per un’azienda pagare visto che la “vita” di alcuni processori è stabilita in partenza per 2 o 3 anni.

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Via | DDay

Gianluca Cobucci
Gianluca Cobucci

Appassionato di codice, lingue e linguaggi, interfacce uomo-macchina. Tutto ciò che è evoluzione tecnologia è di mio interesse. Cerco di divulgare la mia passione con la massima chiarezza, affidandomi a fonti certe e non "al primo che passa".

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