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Carenza globale dei chip: quali sono le cause e gli effetti? E quanto durerà?

Sentiamo tutti i giorni parlare della carenza dei chip. Ma quanto durerà? E soprattutto quando è nato questo grosso problema che ha messo in ginocchio l’economia globale? In questa sede proveremo ad analizzare dove e quando si è originato il problema e quali saranno le prospettive future. Allo stesso modo tenteremo di dare “una soluzione“, partendo proprio dalle cause di questa carenza.

L’origine della carenza dei chip: quando e dove è successo?

Iniziamo con il quando. Purtroppo i primi effetti negativi di questa carenza dei chip si sono visti proprio nel periodo peggiore, in un momento in cui è scoppiata la pandemia, è iniziata una guerra commerciale tra i due poli del mondo (Cina e USA) e quando si sono verificate siccità e incendi. Questi ultimi due, anche se potrebbe sembrare assurdo, hanno contribuito in maniera significativa al rallentamento della produzione dei semiconduttori, ma lo vedremo più in là. Ma dove questi componenti? Ovunque: dagli smartwatch ai frigoriferi, dagli smartphone alle automobili.

E proprio il settore automobilistico è stato quello che ne ha risentito di più in assoluto. E qui vediamo dove si è originato il problema. La produzione di automobili richiede una quantità smisurata di microprocessori in quanto dentro ogni vettura sono presenti centinaia di processori di diverso tipo. All’inizio della pandemia, quando il traffico su gomma è diminuito drasticamente, è iniziata anche a diminuire la quantità di vetture ordinate. Giusto qualche dato per comprendere la gravità: IHS Market, a metà febbraio, ha calcolato che gli ordini solo nel primo trimestre sono diminuiti di 672.000 unità.

Il rovescio della medaglia è stato che le aziende produttrici, gran parte delle quali a Taiwan ma non solo, hanno dovuto virare la produzione. Al diminuire dei processori per le automobili è aumentata la richiesta dei chip per gli articoli di uso quotidiano come tablet, PC, computer fissi, smartwatch e smartphone. Una cosa ovvia, se pensiamo che gran parte del nostro tempo durante la pandemia l’abbiamo passata a casa. E’ proprio qui che il problema è sorto: la troppa richiesta per questi generi tecnologici. Un altro dato per comprendere quanto è aumentata la richiesta: La Semiconductor Industry Association ha affermato a d inizio marzo che le vendite di chip a gennaio 2021 hanno raggiunto i 40 miliardi di dollari, il 13.2% in più rispetto allo stesso mese dell’anno scorso.

Si sarebbe potuto risolvere il problema con delle scorte maggiori?

Alcuni diranno: ma il problema sarebbe stato risolto semplicemente avendo scorte o producendo di più per stoccare i chip? Sì, in un certo senso è vero ma bisogna considerare che il costo per produrre questi processori è altissimo e il tempo impiegato per fabbricarne uno è altrettanto lungo. In media, per produrre un solo wafer (questo il nome profano) ci vogliono dalle 4 alle 8 settimane. Provate dunque ad immaginare i costi per ogni singolo chip. La risposta alla domanda iniziale dunque è “Sì, ma anche no“. Sovrapproduzione da una parte significa abbattere i costi (per l’azienda produttrice) ma dall’altra significa anticipare dei costi che non si sa se verranno coperti (dalle aziende acquirenti).

Un’altra soluzione sarebbe stata costruire fabbriche nuove: in realtà alcune aziende lo hanno fatto, mentre altre hanno “semplicemente” aumentato il ritmo di lavoro. Tuttavia anche costruire nuove fonderie è costoso e ci vuole molto tempo. Senza contare che alla fine di questa pandemia il produttore si ritroverebbe costi di gestione elevatissimi in un momento che magari non richiede una sovrapproduzione.

Nel frattempo i costi di produzione sono aumentati: perchè?

I costi di produzione dei chip sono aumentati nell’ultimo periodo e con loro anche i costi alle aziende acquirenti. I motivi sono molti, cerchiamo di vederli con ordine. Innanzitutto, la guerra commerciale tra Cina e USA ha influito pesantemente in questa situazione. Uno dei più grandi acquirenti, Huawei, è stato bandito dall’ex amministrazione statunitense Trump. Questo ha fatto sì che le aziende che vendevano a lei hanno dovuto stoppare le esportazioni. Già qui potete immaginare i soldi persi. Ma dire che il ban è stato solo nei confronti di Huawei è minimizzare: decine di altre aziende “minori” sono cadute sotto l’ascia di Trump ma l’esito è stato il medesimo.

Ad aggravare la situazione ci sono stati eventi atmosferici che hanno fatto aumentare i costi in maniera considerevole. Come dicevamo prima, gran parte della produzione dei circuiti avviene a Taiwan dall’azienda chiamata TSMC. E’ lei quella che fornisce gli stessi Qualcomm e MediaTek, tanto per farci un’idea. Ma tornando a bomba, nell’ultimo periodo il territorio di Taiwan è stato vittima di siccità mai viste. La produzione dei wafer richiede tantissima acqua (ecco qui un altro motivo dell’alto costo) ma i bacini idrici della zona si stanno asciugando. L’azienda dunque è obbligata ad acquistare cisterne d’acqua e questo grava sui costi di produzione.

Quali effetti avrà la carenza di chip sui consumatori?

E’ molto semplice: come ha detto anche il presidente di Xiaomi i prezzi aumenteranno per tutti. In primis per le aziende che producono smartphone ma, di converso, anche per gli acquirenti.

Continueremo a ottimizzare i costi dei nostri dispositivi hardware, questo è certo. Ad essere onesti, faremo del nostro meglio per offrire il miglior prezzo possibile ai consumatori. Ma a volte, potremmo dover trasferire parte dell’aumento dei costi al consumatore. Siamo sotto pressione, ma stiamo andando bene.

Fonte: Reuters

Quanto durerà questa moria? E’ difficile dirlo. Alcuni analisti di MarketWatch affermano che il problema si prolungherà fino al 2022. Noi cosa possiamo fare nel nostro piccolo? Poco e niente. Una cosa che però potrebbe aiutare è non cambiare smartphone (o altri oggetti di consumo come questo) di continuo: questo però non aiuterebbe nell’immediato ma a lungo termine considerando che, in media, uno smartphone si cambia ogni 2/3 anni.

L’Europa da parte sua ha in mente un progetto a lungo termine, ovvero quello di costruire delle fonderie per auto produrre i microchip che di solito le aziende su suolo EU acquistano da fuori. Questa però è un’arma a doppio taglio, specialmente per l’aspetto “ecologico”: più produciamo e più inquiniamo. Ne vale la pena?

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Gianluca Cobucci
Gianluca Cobucci

Appassionato di codice, lingue e linguaggi, interfacce uomo-macchina. Tutto ciò che è evoluzione tecnologia è di mio interesse. Cerco di divulgare la mia passione con la massima chiarezza, affidandomi a fonti certe e non "al primo che passa".

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